Santi da scopertine/coprire
BEATO LUIGI ORIONE

A cura di Patrizia Solari



Questa volta parleremo di una persona che probabilmente anche in Ticino è presente a molti, ma che forse vai la pena di conoscere più da vicino: è don Luigi Orione, proclamato beato da Giovanni Paolo II nel 1980, e che ricordiamo nel calendario liturgico il 12 marzo.

Cominciamo con una citazione che indica lo spirito con cui don Orione ha realizzato la sua vocazione di cristiano. Con queste parole si rivolgeva ai giovani che gli chiedevano di entrare nella sua Congregazione: "Questa piccola e poverissima Congregazione è lo straccio della Madonna e della Chiesa di Roma ... è la congregazione degli straccioni di Dio. Sai cosa si fa con gli stracci? con gli stracci si dà giù la polvere, si puliscono i pavimenti e si strofinano, si tolgono le ragnatele e si puliscono le scarpe ... Ebbene, se ti piace essere uno straccio di Dio, uno straccio sotto i piedi di Dio (...) e nelle mani dei tuoi Superiori questo è il tuo posto." 1)

Luigi Orione "nacque a Pontecurone, vicino ad Alessandria, nel 1872, da una famiglia molto umile che abitava in una casetta rustica (...) Il papà faceva il selciatore di strade e si vantava di essere 'garibaldino' e anche un po' anticlericale; la mamma guadagnava qualche soldo al tempo della mietitura quando, alle tre del mattino, partiva per andare a spigolare sui campi, portando il piccolo Luigi avvolto nello scialle." Era una contadina molto operosa, che in parte doveva anche sostituire il marito, che era lontano a lavorare nel Monferrato. Ma soprattutto era una donna molto credente che, come ricorderà don Orione, andava spesso a ricevere l'Eucaristia e al ritorno diceva ai suoi figli: "Ho pregato prima per voi e poi per me. Ho ricevuto il Signore per voi e per me." E ancora: "Mia madre, anche quando io e i miei fratelli eravamo già grandi, ci fissava il posto in chiesa: `Perché vi voglio vedere ...' (...) e voleva sentire anche la nostra voce pregare (...) ci faceva dire le preghiere seduti, solo quando eravamo malati ..." Dice Antonio Sicari, l'autore dal quale abbiamo attinto queste notizie: "Sono bozzetti d'altri tempi, e tuttavia ci fanno respirare il clima di umiltà, di forza e di fede, da cui Luigi trasse quella incredibile resistenza alla fatica che doveva poi caratterizzarlo, e quella passione `cristiana' per i poveri che non l'avrebbe mai abbandonato."

Di Ignazio Silone è celebre la pagina del libro Uscita di sicurezza, in cui descrive il suo incontro con don Orione. Era l'inverno del 1915, un inverno particolarmente rigido e la Marsica era stata colpita da un terribile terremoto. Silone, appena quindicenne, aveva perso nel terremoto casa e famiglia e così racconta: "Una di quelle mattine grigie e gelide, dopo una notte insonne, assistei ad una scena assai strana. Un piccolo prete sporco e malandato, con la barba di una decina di giorni, si aggirava tra le macerie attorniato da una schiera di bambini e ragazzi rimasti senza famiglia. Invano il piccolo prete chiedeva se ci fosse un qualsiasi mezzo di trasporto per portare quei ragazzi a Roma (...). In quel mentre si fermarono cinque o sei automobili. Era il re (Vittorio Emanuele II) col suo seguito che visitava i comuni devastati. Appena gli illustri personaggi scesero dalle loro macchine e si allontanarono, il piccolo prete, senza chiedere il permesso, cominciò a caricare sopra di esse i bambini da lui raccolti. Ma, come era prevedibile, i carabinieri rimasti a custodire le macchine, vi si opposero, e poiché il prete insisteva, ne nacque una vivace colluttazione, al punto da richiamare l'attenzione dello stesso Sovrano. Affatto intimorito, il prete si fece allora avanti e, col cappello in mano, chiese al re di lasciargli per un po' di tempo la libera disposizione di quelle macchine (...). Date le circostanze, il re non poteva non acconsentire." Bisogna notare che quando don Orione accorse in Abruzzo per soccorrere gli orfani del terremoto, era già il fondatore amato e rispettato di un istituto religioso che si occupava di poveri d'ogni genere. E sei anni prima, quando un altro terremoto aveva raso al suolo le città di Messina e Villa San Giovanni, era già stato in prima fila per soccorrere i terremotati. "Ben presto dalle sue mani era passata tutta la rete dei soccorsi ed era lui che coordinava gli aiuti che provenivano dal Papa e dalla casa reale. Lavorò al punto che Pio X decise di nominarlo temporaneamente - lui, un piccolo prete piemontese, superiore di una Congregazione religiosa appena formata! - Vicario Generale della diocesi di Messina."

Ma facciamo un passo indietro. Per don Orione, questo amore "ai poveri che sono Gesù Cristo" cominciò "naturalmente, come attaccamento mai dimenticato, stima e venerazione verso quei poveri cristiani che erano papà, mamma e i suoi fratelli." Già da ragazzino "sognava di entrare tra i francescani, perché li considerava i frati dei popolo e degli umili che voleva aiutare e soccorrere. Ci provò infatti, a tredici anni, ma una brutta polmonite lo costrinse a tornare in famiglia." Poi però ebbe un posto a Torino nel collegio di don Bosco. Vi arrivò nel 1886, quando a don Bosco restava poco più di un anno di vita. "Il piccolo Orione chiese un permesso speciale per potersi confessare da don Bosco che di solito si dedicava ai ragazzi più grandi (...) Per essere sicuro di fare una buona e completa confessione, aveva consultato alcuni formulari di 'esame di coscienza' e li aveva trascritti quasi integralmente (...) riempiendo alcuni quadernetti." E così racconta lo stesso don Orione: "Con una mano nella tasca dei quaderni e l'altra al petto, aspettavo in ginocchio, tremando, il mio turno. 'Che cosa dirà don Bosco - pensavo tra me - quando gli leggerò tutta questa roba? Venne il mio turno. Don Bosco mi guardò un istante e senza che io aprissi bocca, tendendo la mano disse: 'Dammi dunque questi tuoi peccati'. Gli allungai il quaderno, tirato su accartocciato dal fondo della tasca. Lo prese e senza neppure aprirlo lo lacerò. 'Dammi gli altri'. Subirono la stessa sorte. 'Ed ora concluse la tua confessione è fatta, non pensare mai più a quanto hai scritto e non voltarti più indietro a contemplare il passato'. E mi sorrise, come solo lui sapeva sorridere".

Sarebbe stato logico che il ragazzo entrasse nei salesiani e già si apprestava a farlo. Ma nella preghiera gli si presentò l'ipotesi di entrare nel seminario diocesano e siccome i dubbi erano molto forti, chiese a don Bosco, pregando e piangendo sulla sua tomba, tre segni ("Fu una ragazzata - dirà poi - ma tant'è ...!") Uno dei segni però era molto importante: riguardava il ritorno del papà alla pratica religiosa. Si avverarono tutti e tre. "Oggi possiamo dire che don Bosco, dal cielo, sapeva perché Orione non doveva diventare salesiano: la sua opera era infatti destinata soltanto ai giovani, quella di don Orione invece doveva riguardare i bisognosi di ogni genere e il sollievo di ogni possibile miseria. Egli si sarebbe impegnato in tutte le 'opere di misericordia' che, secondo il catechismo, sono ben quattordici! Qualcosa di tutti gli altri fondatori di istituti religiosi, anche dei più grandi, sarà presente in lui e nella sua attività."

Durante gli studi di teologia gli era morto il papà e così gli era venuto a mancare anche quel piccolo sostegno economico da parte della famiglia. Per poter continuare gli studi, aveva potuto usufruire dello stipendio che ad Alessandria si riservava ai seminaristi più poveri, che venivano alloggiati in alcune stanzette nella soffitta del Duomo e prestavano alcuni servizi per il Duomo stesso. Ma "le stanzette sotto le volte del duomo divennero un ritrovo di monelli di strada che Orione ricercava e portava a casa in gran numero. Qui faceva loro un po' di catechismo, li faceva divertire, giocando a nascondino nelle vaste soffitte, e non mancava il momento delle castagne abbrustolite. Faceva insomma quello che aveva visto fare nell'oratorio di don Bosco, ma lo faceva in alto, tra i vecchi santi di legno messi a riposare tra la polvere. C'era qualche problema, evidentemente. Ogni tanto gli anziani canonici, da laggiù, sentivano in alto strani calpestii; soprattutto la sacrestia era diventata frequentatissima, non da devoti o penitenti, ma da file di monelli che chiedevano la strada per 'andare su, da Orione'. Non poteva durare. (...) per disposizioni superiori, quell'oratorio improvvisato sulle volte del Duomo, doveva finire." E allora diventò un oratorio itinerante: i ragazzi aspettavano Orione in strada e lui li conduceva al castello diroccato e sui prati faceva la sua lezione di catechismo. "Per fortuna il vescovo della città era un vero padre. Già da tempo osservava la strana creatività apostolica di quel giovane seminarista (...) e gli mise a disposizione il giardino dell'episcopertine/copio." Ma c'era di mezzo anche la politica. "lo da giovane - dirà don Orione simpaticamente - ero anche un po' politico ..." E così, siccome per difendere il Papa, attaccato dai laicisti, don Orione aveva fatto un discorso dicendo cose che non era prudente dire, il prefetto, per tacitare la questione, ordinò la chiusura di quell'oratorio che, a suo dire, poteva diventare un covo di sediziosi. Luigi accettò la notizia a capo chino e, dopo aver depositato la chiave nelle mani della statua della Madonna, salì nella sua stanzetta a piangere. Poi si addormentò e sognò: "Vide scomparire il muro di cinta del giardino, scomparire le case e farsi una grande pianura. Della cinta del giardino restava un unico pioppo sul quale stava una Madonna di indescrivibile bellezza, col Bambino tra le braccia, e il suo manto - più bello dell'azzurro del cielo - si allargava sempre più, fino a ricopertine/coprire quell'immensa pianura nella quale si assiepavano migliaia e migliaia di ragazzi, di ogni razza e colore, a perdita d'occhio, e il loro numero cresceva, cresceva e in mezzo ad essi c'erano chierici, sacerdoti, suore ..." E tutti si misero a cantare il Magnificat, ciascuno nella sua lingua, ma tutto si fondeva in un unico coro, al quale si unì anche la Madonna. Quando Orione si svegliò era chiaro che la chiusura di quell'oratorio non era più un problema: voleva dire che bisognava aprirne uno più grande, e con nuove prospettive.

Così Luigi Orione, ancora seminarista, fondò fuori Tortona un collegio per far studiare i ragazzi poveri (e la Provvidenza lo assisteva facendogli trovare case e soldi ...), che dopo un anno, diventato troppo piccolo, fu trasferito nel centro della città. Quando nel 1895 il diacono Orione fu ordinato sacerdote, "il vescovo gli concesse di rivestire dell'abito talare sei convittori che volevano incamminarsi al sacerdozio 'sotto la guida di don Luigi'. (...) Nella storia della Chiesa egli rappresenta il caso più unico che raro di un seminarista che diviene fondatore di un ordine religioso. (...) Nasceva così la Piccola Opera della Divina Provvidenza. Attorno a questo nucleo di 'consacrati', vivevano, come in un'unica famiglia, sia dei ragazzi poveri che volevano soltanto studiare, sia dei seminaristi che non potevano permettersi la retta del seminario, sia coloro che volevano far parte dell'istituto nascente." Nel 1898 don Orione, oltre che aprire un collegio in Sicilia su richiesta del Vescovo di Noto, fondò gli Eremiti della Divina Provvidenza. "In un'antichissima abbazia sull'appennino pavese, raccolse dei laici abituati al lavoro dei campi, che volevano consacrarsi nella contemplazione e nel lavoro." Ne nacquero poi in Piemonte, Lombardia, Umbria, Lazio, Sicilia e tra questi eremiti vi erano anche dei ciechi: di uno di essi, frate 'Ave Maria', è in corso il processo di beatificazione.

Dal 1915 vengono fondati, sparsi in tutta l'Italia e nel mondo, i Piccoli Cottolengo. "(...) dovevano accogliere coloro che non riuscivano a trovare posto in nessun altro ospedale o casa di accoglienza: gli ultimi degli ultimi, (...) coloro che la società vuole ad ogni costo togliersi dalla vista." Ancora nel 1915 fonda le Piccole suore missionarie della Carità, alle quali erano affidati gli asili, gli orfanotrofi, le opere parrocchiali, l'educazione delle ragazze, l'assistenza ai poveri e agli infermi. Le prime tre ragazze a cui diede l'abito le chiamò suor Fede, suor Speranza e suor Carità. Più tardi darà inizio a una diversa congregazione femminile destinata esclusivamente alla cura dei Santuari e per le attività attinenti al culto.

"Nel 1927 fonda le Suore Sacramentine cieche: per l'adorazione perpetua e la preghiera incessante, alle quali affida il compito di essere sostegno e radice di tutte le altre opere." Lasciamoci stupire dalla genialità con cui questo prete ha saputo valorizzare anche ciò che potrebbe apparire un limite!

Sono più di cento le fondazioni di case e di opere cui diede inizio, percorrendo non solo l'Italia, ma anche l'Inghilterra, la Grecia, la Polonia, l'AIbania, la Palestina, il Brasile, l'Argentina, l'Uruguay, il Cile, gli Stati Uniti.

"Tutto questo egli lo definiva: 'un'umile congregazione', perché egli stesso era umile. Girava il mondo vestito come l'ultimo dei poveri, con la veste rattoppata e le scarpe sformate, senza mai possedere un orologio né un portafoglio, amministrando fiumi di denaro, senza mai sapere se ce n'era abbastanza per il giorno dopo, sentendosi soltanto un 'servo della divina Provvidenza'. Il nome della sua congregazione era per lui una convinzione così profonda che dalla Provvidenza attendeva risposte e regali come un bambino li attende dalla mamma." E i racconti di come in effetti si manifestava la Provvidenza, nelle circostanze più estreme, sono innumerevoli, come pure i suoi 'fioretti' e i miracoli che gli fiorivano tra le mani.

Ricordando la citazione introduttiva ("vogliamo essere gli stracci di Dio") "don Orione descriveva anzitutto se stesso, il suo sconfinato desiderio di essere usato per il bene della Chiesa e del mondo, il suo sogno di essere maneggiato dalle mani di Dio e dalla Vergine Santa senza opporre alcuna resistenza. Non descriveva un'umiliazione, ma una dignità. Perciò non rifuggiva mai dall'umiliarsi, anche se lo faceva a volte scherzando. Indicando una foto che lo ritraeva a cavalcioni di un umile e paziente somarello, diceva con arguzia: 'lui e io, siamo in due!'. E i presenti si commuovevano pensando a quella sua paziente tenacia che non lo abbandonava mai."

Due osservazioni, per concludere. Don Orione "sosteneva che tutto il suo lavoro per i poveri e tra i poveri aveva questo scopertine/copo: far nascere nel cuore dei miseri 'un amore dolcissimo per il Papa'." E in lui colpiva e impressionava questo "suo amore, senza alcuna riserva né misura, al vicario di Cristo in terra. (...) Una tale coscienza ecclesiale, così centrata sul ministero di Pietro nella Chiesa, non si era mai vista prima, soprattutto in un fondatore così immerso nei bisogni sociali."

Una seconda cosa è la sua attività di predicatore, alla quale era stato chiamato fin da diacono, e di confessore, "che esplicò sempre volentieri e con indubbia fantasia. Quando si trattava di Dio e delle anime sapeva perfino diventare un commediante."

Come quando, invitato a predicare "in un paese dove i preti erano particolarmente odiati e dileggiati. (...) Salì la scaletta del pulpito appoggiandosi pesantemente come un ubriaco e borbottando in dialetto - ma in modo che tutti sentisserole ingiurie più comuni rivolte contro i preti - e facendo il verso sgraziato delle cornacchie. Il parroco si mise le mani nei capelli, pensando che fosse impazzito. Ma quando fu sul pulpito, quel misero prete e tutti sapevano chi era li guardò con incredibile fierezza. Poi cominciò: 'Così, così si saluta qui il prete, il ministro di Dio, quando passa'. Alla fine parlò del sacerdozio in modo da farli piangere." O quando, in un'altra parrocchia dove si predicavano le missioni con scarso risultato, "per la conclusione don Orione chiese di far venire dieci confessori. Al parroco sconfortato, un solo sacerdote sembrava più che sufficiente. Obbedì comunque. Quell'ultima sera, quando la chiesa del paese stentava a riempirsi e il sacrestano suonava rassegnato le campane, si vide a un tratto entrare un tale avvolto da un logoro tabarro, con un cappellaccio in testa; si gettò sul banco e cominciò a lamentarsi ad alta voce: 'Ecco come sono ridotto! E pensare che in casa di mio padre non mi mancava nulla ..." Per farla breve: era don Orione che recitava la parabola del 'Figlio Prodigo' e la gente accorreva, e qualcuno andava a chiamare gli assenti. Quando la chiesa fu pienamente affollata, quel prete originale salì sul pulpito e parlò del perdono di Dio (...). Tutto il paese quella volta si confessò." Don Orione morì il 12 marzo del 1940, a San Remo "un po' triste perché gli toccava morire tra le palme invece che tra i poveri."

Era giunto lì tre giorni prima "e si era molto agitato: la camera, pur privata di tutto il mobilio superfluo, gli sembrava troppo lussuosa!" E pregava un confratello di guardare l'orario dei treni, per poter andar via. Poi si calmò, contemplando una statuetta della Madonna. "Guarda com'è bella! - disse - Non ti pare che non dovrei far altro che chiudere gli occhi?" E li chiuse di lì a tre giorni, dicendo "Gesù, Gesù. Vado!"

"Un francescano scrittore che passava in tram per le strade attraversate dal corteo funebre, dove c'era sempre una folla immensa ad attenderlo, ascoltò questo dialogo tra due operai che lavoravano sdraiati per terra, e ne riferì su un giornale: 'Che succede? Chi è morto? Don Orione - e chi è don Orione - Era un prete, ma era un brav'uomo: Don Orione certo avrebbe sorriso."



1) Le citazioni sono tratte da: Antonio SICARI, Il quinto libro dei RITRATTI DI SANTI, ed. Jaca Book, Milano 1996, pagg. 173-192